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I farmaci antipsicotici di prima generazione, introdotti oltre cinquant'anni fa, si sono dimostrati efficaci nella risoluzione o nel controllo dei sintomi della schizofrenia, ma presentano limiti rilevanti sia perché circa il 30% di casi non risponde adeguatamente al trattamento, sia per i consistenti effetti collaterali, soprattutto di tipo extrapiramidale. I farmaci antipsicotici di seconda generazione, introdotti da circa dieci anni, hanno gli stessi limiti di efficacia dei precedenti, con un rischio minore di effetti extrapiramidali. Tuttavia, dati farmacoepidemiologici hanno mostrato che questi farmaci comportano un rischio di altri effetti collaterali, come aumento di peso e disturbi del metabolismo glucidico e lipidico, che costituiscono la cosiddetta sindrome metabolica, fattore di rischio assai importante per il diabete e le malattie cardiovascolari. Nonostante ciò, si sono imposti nella pratica clinica come prima scelta nella terapia di mantenimento della schizofrenia, senza che le implicazioni a lungo termine degli effetti collaterali di tipo endocrino e cardiovascolare siano state adeguatamente considerate. Uno di essi, l'olanzapina, è oggi in Italia il farmaco antipsicotico più prescritto, pur con un costo assai maggiore dei precedenti. L'aripiprazolo è un nuovo antipsicotico di recente introduzione che, a parità di efficacia sui sintomi della schizofrenia, sembra presentare un rischio basso sia di effetti extrapiramidali che di incremento ponderale e disturbi metabolici. In realtà i dati a sostegno di tali affermazioni sono limitati e l'efficacia e tollerabilità del farmaco richiedono ricerche più approfondite.